Nonostante le rassicurazioni di governi nazionali e autorità europee, vie di uscita alla crisi non se ne vedono. Questo non significa fine del capitalismo; nel supermarket della crisi c’è sempre chi passa all’incasso. Ciò cui abbiamo assistito e cui assisteremo nei prossimi mesi in Italia è esemplare.
Prima una riforma del mercato del lavoro che non produce effetti occupazionali ma in compenso taglia le protezioni, comunque parziali e rivolte solo ad una parte dei lavoratori, prima offerte dagli ammortizzatori sociali “fordisti” (mobilità, cassa integrazione straordinaria). Il tutto in cambio di uno sconcio, l’Aspi, che certifica la generalizzazione della precarietà.
Oggi l’Agenda Monti tenta di rendere attrattivo il “territorio” per nuovi investimenti agendo sulla leva della “produttività”, ossia sull’ulteriore adattabilità e disponibilità a orari, ritmi e salari coerenti con il declassamento del “sistema paese” nella competizione internazionale. Non si parla più di attrarre operatori dei settori ad alta intensità di conoscenza – per i quali servirebbero investimenti collettivi che sono invece dismessi – ma nella manifattura di media qualità, nei servizi distributivi e logistici, nella subfornitura. Il messaggio è chiaro: se siete meno “choosy”, lavorate molto e vivete con poco, il “lavoro” (forse) potrebbe tornare.
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